Nell’ultima settimana, il mondo crypto – e di riflesso quello finanziario – è stato scosso dal crollo di FTX, che è arrivata a meritarsi l’appellativo di Lehmann Brothers delle criptovalute, col chiaro riferimento alla bancarotta che portò alla crisi globale del 2008.
È ancora difficile fare previsioni sull’impatto complessivo dell’effetto domino che avrà questo fallimento, ma di certo la bancarotta di una compagnia valutata 32 miliardi di dollari – fino al giorno prima – e che gestiva il 20% degli scambi complessivi di crypto negli exchange, seconda solo a Binance, lascerà strascichi a lungo.
FTX è appunto un exchange, ossia, come ti spiegavo la volta scorsa, una piattaforma dove scambiare criptovalute, di cui Sam Bankman-Fried (SBF, con gli acronimi tanto cari a questa realtà) è fondatore e CEO.
Oltre a ciò, SBF gestiva Alameda Research, una compagnia di investimento nata per fare arbitraggio fra criptovalute.
Il 2 novembre Coindesk, una delle principali agenzie di stampa legate alle criptovalute, pubblica un report in cui sottolinea il fatto che Alameda Research detiene fra i suoi asset una parte molto importante vincolata a FTX, sollevando molti dubbi su una potenziale gestione opaca dei fondi dei clienti e un legame troppo stretto fra le due compagnie.
Infatti, dei 14.6 miliardi gestiti dalla compagnia, 5,8 miliardi erano in FTT, il token proprietario di FTX, di cui più di 2 miliardi come collaterali.
Un’altra parte consistente, inoltre, era detenuta in SRM, token dell’exchange decentralizzato Serum, sempre co-fondato da SBF.
Questo riscontro ha portato Binance (l’exchange più importante in assoluto per volumi, e quindi principale competitor di FTX) a scaricare la sua parte di FTT, corrispondente a 500 milioni di dollari circa.
Ciò ha comportato naturalmente una prima importante discesa di prezzo del token, ma soprattutto ha scatenato una bank run (o che in questo caso dovremmo chiamare exchange run) con la quale sono stati prelevati 6 miliardi di dollari in FTT nel giro di 72 ore.
FTX si è ritrovata dunque in un’enorme crisi di liquidità, non avendo asset a sufficienza per ripagare i clienti uscenti.
Da successive analisi è emerso poi che FTX aveva prestato asset dei clienti per circa 10 miliardi di dollari ad Alameda per coprirne le perdite e supportare successive operazioni, tendenzialmente ad alto rischio.
Binance si è inizialmente offerta per il salvataggio, ma dopo un primo lavoro di analisi dei libri contabili si è tirata indietro, a causa di “mal gestiti fondi dei clienti” e ritenendo l’operazione fosse al di fuori delle proprie possibilità, costringendo FTX dunque alla bancarotta.
Difficile biasimarli.
Queste ottime infografiche (una rielaborazione di Visual Capitalist presa dai dati del Financial Times) sollevano due aspetti molto interessanti:
Il primo, la disproporzione fra asset liquidi e passività di FTX;
il secondo, le molte ombre sugli asset meno liquidi: non solo si tratta per buona parte di token creati ed emessi da loro stessi, ma è emerso pure che solo una minima percentuale fosse sul mercato; una fetta molto ampia era detenuta direttamente nelle loro mani, fra FTX ed Alameda.
Ad esempio, solo il 3% di SRM risulta in circolazione sul mercato. Del restante 97%, circa i due terzi erano in mano ad Alameda e FTX.
Dunque, una loro vendita per esigenze di liquidità avrebbe inevitabilmente fatto crollare questo ipotetico (inesistente) valore di oltre 2 miliardi di dollari.
Potrei andare avanti a lungo con le problematiche emerse, ma esulerebbe dallo scopo di questa lettera.
La domanda che ti faccio quindi è: quale lezione puoi portarti a casa da questa vicenda come investitore individuale?
Di per sé, sembra un po’ la solita storia, e per certi versi lo è: mascherata da “nuova”, una parte di questa innovazione ha ripreso e riciclato tutto il peggio dell’industria finanziaria tradizionale.
C’è però una grande differenza rispetto al passato: la velocità.
Da sempre realtà anche all’apparenza ben più intoccabili di questa sono crollate, ma mai ascesa e caduta erano state così veloci.
Si dice spesso che “Roma non è stata costruita in un giorno”, ed è vero; ma non era neanche mai caduta in un giorno, fino ad ora.
Come siamo arrivati a ciò?
Il principale responsabile è uno storytelling sempre più incisivo, e in grado di far guadagnare fama sempre più in fretta a certi personaggi.
La stampa – per interessi suoi o per incentivi esterni – ha sempre più bisogno delle agiografie di chi ama definire come “nuovo Warren Buffett”, ed è abile a convincere, almeno per un po’.
Probabilmente certe comunicazioni hanno sempre fatto effetto, ma sanno colpire oggi più che mai visto che siamo sempre connessi e attivi; in ogni caso, al momento quello del culto della persona è un business funzionante e redditizio nel breve, senza ombra di dubbio.
Il meccanismo è semplice: si prendono concetti pur veri e interessanti in partenza, e si trova qualche icona a cui farli rappresentare.
È stato così per il successo di Cathie Wood, in linea con una narrazione di empowerment femminile (convenientemente dimenticata con il fondo a -70% dai massimi), ignorando la congiunzione astrale di eventi che aveva portato a quei risultati.
È toccato oggi a SBF, figliol prodigo, redentore e salvatore del mondo delle cryptovalute, che nei mesi si era costruito questa immagine grazie ai suoi salvataggi di altre compagnie e roboanti dichiarazioni di intenti sulla filantropia.
Nei fatti, poi, si tratta di uno dei principali donatori del partito Democratico, il sesto in assoluto per la recente campagna di elezioni di metà mandato.
Una caratteristica fra l’altro difficile da tenere scollegata dalla sua intensa attività di lobbying per cercare regolamentazioni degli exchange che andassero a suo favore, perfetta espressione di un capitalismo clientelare poco in linea con l’immagine incensatoria che i media gli hanno costruito attorno.
A posteriori, una volta scoperchiato, appare ovvio l’enorme castello di sabbia su cui si reggeva questo dubbio impero.
Ma in generale non sempre è così facile.
Tante narrazioni moderne affascinano, è inevitabile sia così: siamo attratti dalle storie di successo, dai buoni propositi e dalle prospettive di innovazione e rivoluzione.
E fin quando i tempi sono facili tutto sembra funzionare a dovere, e le coperture mediatiche sempre più pervasive contribuiscono a creare questo clima di fiducia cieca nei confronti della nuova icona.
Il fatto, però, è che i veri pionieri di ogni settore hanno avuto bisogno di tempo per affermarsi, e soprattutto l’hanno fatto lavorando a testa bassa anche nei momenti di discesa, crollo e avversità.
Anche le innovazioni più pervasive hanno attraversato scetticismo, perplessità e cambiamenti prima di provocare un impatto reale.
Se qualcosa arriva troppo in fretta, troppo velocemente e senza ostacoli, ha ancora bisogno di importanti banchi di prova, e come investitori ma anche semplici fruitori di notizie è sempre opportuno tenerlo a mente.
“È soltanto quando la marea scende che ti accorgi di chi stesse nuotando nudo”, affermava Warren Buffett. Quello vero, però.
Alla prossima,
Francesco